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Quando Re Ferdinando di Borbone decise di ricompensare Orazio Nelson per i servigi che l'ammiraglio gli aveva reso stroncando la rivoluzione napoletana del 1799 e facendo impiccare l'ammiraglio Caracciolo, dovette scegliere fra alcune baronie siciliane che potevano essere regalate perché di regio patronato. La sua scelta ricadde alla fine sui possedimenti delle due celebri abbazie di 'Santa Maria di Maniace' e di 'S. Filippo di Fragalà', unite dal 149l, se non dal 1188, ed appanaggio da tre secoli dell'Ospedale grande e nuovo dei poveri di Palermo. Con la sua donazione Ferdinando concedette all'ammiraglio Nelson la facoltà di trasmettere la Ducea non solo a qualsiasi dei suoi parenti ma pure ad estranei nonché il privilegio di non pagare la tassa dell'investitura. Nella concessione, inoltre, il re spiegava che l'entità della Ducea era la stessa che papa Innocenzo VIII aveva donato nel 1491 all'Ospedale di Palermo e cioè tutti i possedimenti un tempo appartenenti alle due abbazie di Maniace e di Fragalà. Per volere di Nelson, alla cara lady Emma Hamilton andava una rendita di cinquecento sterline annue. Con una grande festa, che venne definita il 'Trionfo di Nelson', i Borboni festeggiarono a Palermo, il 3 settembre del 1799, la riconquista del Regno. Primo successore di Nelson nella Ducea fu il fratello, il reverendo William, ch'era stato detto erede con testamento del 10 maggio 1803. A William successe, nel febbraio del 1835, la figlia Charlotte, sposata a Samuel Hood, secondo visconte di Bridport. Nel 1838 una controversia sulla successione nella Ducea divise Charlotte Nelson-Bridport e il cugino Orazio Bolton, figlio di una sorella del grande ammiraglio. Il processo terminò il 17 dicembre del 1841 con la riconosciuta successione di Charlotte ed anche se le questioni legali, per l'opposizione di Orazio Bolton, si protrassero fino alla fine del 1846, la Ducea rimase proprietà della duchessa Nelson-Bridport.
Molti dei locali del "Castello" furono costruiti nell'ottocento, quando fu ristrutturato ed ing1obato quello che restava dell'antica abbazia e soprattutto gli ambienti che si dipartivano dalla destra del portale della chiesa e circondavano il chiostro. Ma per potere avere il quadro completo e chiaro delle trasformazioni che il monumento ha subito (dal terremoto del 1693 fino al settembre 1981, quando Alessandro, ultimo discendente dei Nelson-Bridport, lo ha venduto al Comune di Bronte) sarebbe necessario uno studio accurato e profondo delle strutture del 'Castello', anche in vista di un suo probabile restauro e di una sua utilizzazione come centro culturale. Durante le agitazioni del 1820, ma soprattutto durante quelle del 1848 e del 1849, fu naturalmente la Ducea l'obiettivo principale dei rivoluzionari brontesi e della zona. Un gruppo di rivoluzionari riuscì ad occupare nel 1848 alcune terre della Ducea al 'Boschetto', presso Maniace. Ma l'episodio fu sporadico e rimase isolato. Anche nell'agosto del 1860 all'epoca dei famosi 'fatti di Bronte' le cose non cambiarono. Anche se il popolo brontese si scatenò, sfogando la sua rabbia secolare con il saccheggio delle case dei maggiorenti del paese e con l'assassinio di quindici persone, paradossalmente non indirizzò la rivolta verso il Castello di Nelson, che era il vero centro e simbolo della feudalità. Ciò nonostante l'avv. Nicolò Lombardo, già animatore dei moti del '48, avesse in mente di guidare i rivoluzionari verso la Ducea. Scoppiata la rivolta, gli sfuggì di mano e non riuscì più a guidare e a convincere.
In ogni caso Nino Bixio, giunto a Bronte il 6 agosto, pose subito lo stato d'assedio e nel giro di pochissimi giorni domò ogni focolare di ribellione. Assistito da un'improvvisata ed impaurita "commissione", condannò alla fucilazione cinque persone, fra cui l'avv. Nicolò Lombardo, giudicati colpevoli di quelle sanguinose intricate vicende, sulle quali il giudizio storico non è ancora concorde.La liberazione garibaldina continuava, riprendeva il suo corso, eliminato anche sommariamente uno dei pochi intralci che si erano creati allo svolgimento dell'impresa dei 'Mille'. I Duchi erano rimasti nella Ducea, malgrado la liberazione garibaldina e l'unificazione italiana del 1861. Fallita anche la sanguinosa rivolta brontese del 1860, chi avrebbe più potuto togliere ai Nelson-Bridport le terre della Ducea per dividerle fra i contadini di Bronte o di Maniace o di Maletto se non il nuovo Stato italiano? Ma le speranze di un intervento in questo senso furono presto deluse. Da quella fallita sollevazione popolare, anzi, derivò altra repressione. Il regime di feudalità non fu superato neanche nel periodo fascista, nonostante l'accesa rivalità con la Gran Bretagna. Solo a seguito della dichiarazione di guerra dell'Italia all'Inghilterra del giugno del 1940 qualcosa nella Ducea cominciò a cambiare. Il Duca Rowland Arthur Herbert Nelson-Bridport dovette abbandonare il Castello insieme a George Biblett, suo amministratore. Castello e Ducea, sequestrati il 19 settembre 1941, passarono allora nelle mani dell'ente di colonizzazione del latifondo siciliano, che, nel giro di qualche anno, realizzò, fra le altre opere, anche un borgo contadino nel parco del 'Castello' e quasi prospicientemente all'ingresso della residenza dei duchi. Il villaggio fu polemicamente chiamato 'Borgo Caracciolo' per ricordare la vittima italiana più illustre dell'ammiraglio Nelson e dello strapotere inglese nel Mediterraneo. Il 'Borgo Caracciolo', costruito insieme ad altre case coloniche, dalla ditta Castelli di Roma, non fu mai portato a termine, perchè la guerra e l'occupazione degli alleati ne impedirono il completamento. Durante la seconda guerra mondiale il 'Castello' fu anche sede del comando di Rodt e residenza del feldmaresciallo Kesselring. Nel 1956 una speciale commissione di conciliazione italo-britannica, istituita per occuparsi dei danni di guerra, decise che il duca Nelson-Bridport era il proprietario legittimo della Ducea e che lo stesso 'Borgo Caracciolo' gli apparteneva. Ritornati, dunque, i Duchi a Maniace, le grandi costruzioni del 'Borgo Caracciolo' vennero in un primo tempo adibite a fienili e a magazzini e, dopo qualche anno, nella primavera del 1964, abbattuti dalle ruspe. Le rovine di quei fabbricati, impressionanti, giacciono ancora fra gli alberi del parco del 'Castello', prive non solo di vita ma ormai anche di quel monito che i Duchi forse vollero, distruggendole, cancellare.
Nel piano residenziale di trova Il museo dei Nelson, già sontuoso piano di abitazione dei vecchi proprietari. Vi si accede attraverso un pesante portone di legno del secolo XIX. Al di là del pianerottolo, nella “camera delle armi”, sono disposti gli stemmi della famiglia Nelson e il suo motto araldico Palmam qui meruit ferat . I sontuosi appartamenti del piano nobile sono ornati dalle suppellettili originarie e in parte piastrellati con pavimenti in maiolica del secolo XVIII. Tra i cimeli di Orazio Nelson il museo conserva la bottiglia e i bicchieri con cui l’ammiraglio brindò sulla Victory in occasione della battaglia di Trafalgar. Tutti gli ambienti sono arredati con mobilia di grande pregio e di vario stile. Di grande interesse un orologio sul caminetto, lavorato in ottone e tartaruga del secolo XIX , e un mobiluccio di stile bonheur-Luigi XVI pieno di statuette di porcellana di Capodimonte. Nel corridoio meritano di essere menzionati il mezzobustoreliquiario del beato Guglielmo e sarcofagi ed anfore in terracotta provenienti in parte dalle grotte del torrente Saraceno. Dipinti di autori inglesi (Richardson, Parton, Buttersworth, Spencer, Clevely, Elliot, ed altri) ornano le pareti degli appartamenti.
Capolavoro assoluto d’arte è la Chiesa di Santa Maria del valorosissimo Maniace, oggi costruzione a pianta rettangolare. Il mirabile portale, attraverso cui vi si accede, è opera di grande valore e degno di essere definito monumento nazionale. La volumetria rientrata ogivale segue la nervosa modulazione dei piedritti su cui è impostata. La cornice è adorna di vari cordoni, grossi e piccoli, variamente sagomati e sporgenti. Due gruppi di colonnine laterali lisce e rotonde, costruite con pietra arenaria, marmo e granito, sorreggono il grande arco. I Capitelli che raccordano la struttura hanno un modulo stilistico che rimanda ad analoghe opere eseguite a Monreale, sede della giurisdizione vescovile. Le figure scolpite sono piccole cariatidi poggianti su splendidi catini ornati di foglie d’acanto lavorate a ricamo. Lavorati di fine ricamo, i capitelli sono di eccezionale bellezza. Raffigurano scene della Genesi, ma anche scene la cui interpretazione rimane molto misteriosa, malgrado la precisa descrizione che ne fece Benedetto Radice. Sono in modo particolare le inquietanti figure rappresentate nei capitelli di sinistra a porre l’interrogativo del significato complessivo di questa rappresentazione scultorea. Ispirate ai bestiari medioevali, le figure descrivono esseri mostruosi, deformi, forse simboli dei vizi del genere umano. Narrano storie di lussuria viste attraverso l’intreccio del corpo femminile con satiri dal ventre gonfio e dalle zampe pelose di grifo e con serpenti avvolti alle membra. Scene disperate di dannati alle prese con il bestiario di Satana riunito a concistoro. Scene raccapriccianti di corpi e volti deformi e di ogni altra mostruosità fisica. Le figure dei capitelli di destra, simbolicamente composte, narrano invece la vicenda del genere umano a partire dalla cacciata dal Paradiso Terrestre. Ogni capitello svolge un tema diverso: il lavoro dei campi, la caccia, la guerra. Mentre questi raccontano, quelli di sinistra ne sono la logica contraddizione, la negazione di qualsiasi narrazione e della storia stessa, l’allegoria del genere umano travolto dalle tentazioni e dal peccato. L’interno della chiesa è a tre navate, di cui la centrale più alta è scandita da due file di cinque archi a sesto acuto con l’intradosso in arenaria, sostenuti da quattro colonne in pietra lavica, alternate ad altrettanti pilastri esagonali e tutti poggianti su basi a sezione quadrata dello stesso materiale. La navata maggiore è illuminata dall’alto, per mezzo di undici finestre ogivali. Le due navate laterali sono provviste di cinque finestre ciascuna tutte a sesto acuto (ad eccezione dell’ultima, evidentemente rifatta).La parte absidale della chiesa è stata di recente riportata alla luce.